“Niuman”, il circo di Bertino |
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Bertino era il suo circo, tirato su piano piano, senza fare passi troppo più lunghi della gamba e il suo passo un po’ claudicante era un passo corto e leggero. Tanto leggero che ad un certo punto appariva all’improvviso. Quando andavo “da Bertino”, difficilmente lo incontravo per primo … prima i suoi figli, chi intorno ai camion a verniciare o rimediare a qualche inconveniente tecnico, chi a governare le bestie … le donne sempre intorno al bucato o a fare le pulizie delle carovane, la “Cita” intorno ai fornelli. Bertino, il papà, con la sua aria di burbero bonaccione mi ha insegnato molte cose, anche senza impartirmi nessuna lezione specifica, semplicemente con la sua vita. Una volta, eravamo nel porrettano, c’era il problema della piazza successiva, il programma era saltato perché qualche buon collega era andato al suo posto soffiandogli non solo la piazza, ma la possibilità di ulteriori spostamenti, era come imbottigliato. Ci sarebbe stato da arrabbiarsi ma prese la saggia decisione di cambiare strada anche se avrebbe voluto dire fare qualche sacrificio in più. Mi venne in mente un episodio del Vangelo raccontato da Luca (9,51-56). Di fronte al rifiuto dei samaritani di accogliere Gesù che stava andando a Gerusalemme, Giacomo e Giovanni si lasciano coinvolgere dalla intolleranza, manifestano anche loro un fondamentalismo che diventa addirittura violento, distruttivo. Perché tanta violenza attraversa il cuore dell’uomo? Perché bisogna sempre vincere sull’altro, avere la meglio, costi quel che costi? Perché ad intolleranza si deve rispondere con intolleranza e alla violenza con la violenza? La soluzione è semplice: andare in un altro villaggio. Si allunga la strada? Non importa. Si perde del tempo? Non importa. Gerusalemme diventa più distante? Non importa. La tolleranza e l’amore vincono sempre, comunque. C’è un altro villaggio, c’è sempre un altro villaggio dove andare. Non possiamo incaponirci nei nostri progetti, nei nostri percorsi, nelle nostre relazioni: possiamo allungare la strada, prendere ancora tempo, cercare ancora soluzioni, altre strade, altri convincimenti, c’è una testimonianza di amore, di tolleranza, di comunione da dare… c’è sempre un’altra piazza che ci aspetta. Quando Bertino morì, troppo prematuramente, la figlia più grande mi salutò, eravamo accanto al feretro, come il “nostro fratello più grosso!”. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, ogni 12 di aprile i Niemen si ritrovano: arrivano da ogni dove le sorelle, i figli, le figlie, i nipoti, sotto lo chapiteau per pranzare insieme e festeggiare il compleanno di Bertino. La mia storia con la famiglia Niemen è del tutto particolare, è stata ed è rimasta la mia seconda famiglia. Ho celebrato le nozze di tutti fratelli, battezzato i loro figli, ho cominciato a celebrare le nozze della seconda generazione e ho battezzato il loro figlio. Al matrimonio di Ivan con Romina Orfei mi trascinai dietro, a Roma, tutto il gruppo giovanile di parrocchia che ne animò la celebrazione con i canti. Quando nacque Caroline, la loro primogenita, Romina era in ospedale in un paese non distante da quello dove si trovava il circo, era con la mamma venuta da lontano, i tempi sembravano doversi prolungare. Durante lo spettacolo Ivan stava facendo il presentatore, arrivò la telefonata che era stata trasferita in sala travaglio, Ivan corse in ospedale e fu in qualche modo sostituito. In camerino, dietro la barriera, è stato un susseguirsi di telefonate per conoscere l’andamento del parto, fino alla nascita. Lo spettacolo subì un po’ di mancanza di ritmo perché il ritmo era dato dalle notizie che arrivavano dall’ospedale, quasi in una radiocronaca in diretta. Il finale dello spettacolo fu un po’ anticipato ed il circo si svuotò per andare a conoscere la nuova arrivata. La frequentazione di quella famiglia per me è stata sostanziale. Durante la costruzione della chiesa parrocchiale di Rosignano ci fu un incidente mortale, un ragazzo di diciannove anni morì tra le mie braccia colpito dal gancio della gru; i Niemen sono stati il mio rifugio, il luogo dove ritrovare il senso di una umanità semplice, essenziale. Sono stati sempre disponibili, accoglienti, generosi pur nella semplicità delle cose e della vita. Sempre un letto disponibile, un piatto di pasta, qualche lavoretto semplice, la pista, la segatura, insomma la vita di tutti i giorni, per me sono stati una “ricreazione”. Adesso quando vado dai Niemen guardo estasiato le nuove generazioni, li ho visti tutti nascere e crescere, ho sposato i loro genitori, li ho battezzati; ormai ho sposato i figli e battezzato i loro figli. Sto attento alle prove, guardo il loro impegno e la loro fatica, il tremore del debutto in pista, il loro sguardo e quello dei loro genitori, giustamente orgogliosi, mentre i miei si sono già appannati. |
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